avv. Piero Tandura
Con l’ordinanza di seguito riportata, il Tribunale di Bari, a fronte del rischio epidemico rappresentato dal diffondersi del Covid-19, ha disposto la momentanea sospensione fino alla cessazione di efficacia delle misure di contenimento governative (inizialmente fissata al 3 aprile 2020 ed ora prorogata al 3 maggio 2020 – v. D.P.C.M. 10 aprile 2020) degli incontri tra un padre ed il figlio minore, stabilendo, al contempo, che, fino a tale data, il diritto di visita paterno dovesse essere esercitato attraverso lo strumento della videochiamata.
Il principio guida posto alla base di tale decisione è rappresentato dalla ritenuta prevalenza, nell’attuale momento emergenziale, del fondamentale diritto alla salute delle persone sancito dall’art. 32 Cost. rispetto al diritto-dovere dei genitori e dei figli minori di incontrarsi.
A parere del Tribunale, infatti, gli incontri tra i genitori non affidatari e i figli – soprattutto se dimoranti in comuni diversi – si pongono in contrasto con le misure di sicurezza e prudenza introdotte dal Governo per ragioni sanitarie in forza dell’art. 16 della Costituzione, dal momento che scopo primario di tale normativa è una rigorosa ed universale limitazione dei movimenti sul territorio, tesa alla tutela del diritto alla salute, che può giustificare la temporanea compressione del diritto dei genitori al mantenimento del rapporto con i figli.
Si tratta di una decisione che, in nome della tutela superiore della salute, adotta un’interpretazione assai rigorosa dei limiti agli spostamenti introdotti dal Governo, addirittura più restrittiva di quella suggerita dallo stesso Esecutivo, il quale, riguardo all’esercizio del diritto di visita dei genitori, ha espressamente sostenuto che “gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti anche da un Comune all’altro” (cfr. decreto #IloRestoaCasa, domande frequenti, in www.governo.it).
Peraltro, è d'uopo segnalare che, in adesione alle indicazioni governative, si è recentemente espresso il Tribunale di Milano (decreto 11 marzo 2020), il quale, a fronte di un caso analogo a quello qui considerato, ha sostenuto che, in linea di principio, le misure di contenimento della diffusione del virus, anche qualora limitino gli spostamenti delle persone da un territorio ad un altro, non risultano preclusive all’attuazione delle disposizioni di affido e collocamento dei minori, a condizione, però, che l'esercizio del diritto di visita dei genitori avvenga in condizioni di sicurezza, evitando l'esposizione dei figli al rischio di contagio.
Tribunale di Bari, ordinanza 26 marzo 2020
Relatore-Consigliere Labellarte
Il Presidente
vista l’istanza depositata in data 23/3/2020, dall’Avv. (omissis), difensore di (omissis) relativa al procedimento n. (omissis) fissato per il (omissis), istanza con la quale si chiede la sospensione degli incontri tra il padre [Omissis] ed il figlio minore [Omissis];
rilevato che il minore è collocato presso la madre e che il padre abita in un diverso comune;
Ritenuto
che l’istanza può essere accolta;
rilevato, invero, che gli incontri dei minori con genitori dimoranti in comune diverso da quello di residenza dei minori stessi, non realizzano affatto le condizioni di sicurezza e prudenza di cui al D.P.C.M. 9/3/2020, ed all’ancor più restrittivo D.P.C.M. 11/3/2020, dal D.P.C.M. 21/3/2020, e, da ultimo, dal D.P.C.M. del 22/3/2020, dal momento che lo scopo primario della normativa che regola la materia, è una rigorosa e universale limitazione dei movimenti sul territorio, (attualmente con divieto di spostarsi in comuni diversi da quello di dimora), tesa al contenimento del contagio, con conseguente sacrificio di tutti i cittadini ed anche dei minori;
ritenuto che non è verificabile, che nel corso del rientro il minore presso il genitore collocatario, se il minore, sia stato esposto a rischio sanitario, con conseguente pericolo per coloro che ritroverà al rientro presso l’abitazione del genitore collocatario;
ritenuto che il diritto - dovere dei genitori e dei figli minori di incontrarsi, nell’attuale momento emergenziale, è recessivo rispetto alle limitazioni alla circolazione delle persone, legalmente stabilite per ragioni sanitarie, a mente dell’art. 16 della Costituzione, ed al diritto alla salute, sancito dall’art. 32 Cost.;
ritenuto, quindi, che, fino al termine del 3 aprile 2020, indicato nei predetti DD.PP.CC.MM., appare necessario interrompere le visite paterne, e che è necessario disporre che, fino a tale data, il diritto di visita paterno sia esercitato attraverso lo strumento della videochiamata, o Skype, per periodi di tempo uguali a quelli fissati, e secondo il medesimo calendario;
P.Q.M.
Accoglie l’istanza e, per l’effetto, dispone che fino al termine del 3 aprile 2020, indicato nei predetti DD.PP.CC.MM., siano sospese le visite paterne, e dispone che, fino a tale data, il diritto di visita paterno sia esercitato attraverso lo strumento della videochiamata, o Skype, per periodi di tempo uguali a quelli fissati, e secondo il medesimo calendario;
FISSA
per la conferma, revoca, o modifica del presente provvedimento, la udienza già fissata per il merito del 29/5/2020, con termine fino al 30 aprile per la notifica.
avv. Piero Tandura
A causa del progressivo espandersi del contagio da Coronavirus, con tutte le gravi conseguenze che tale epidemia ha creato e sta creando sul piano della tutela della salute individuale e pubblica, il Governo italiano ha introdotto, in via d’urgenza, tutta una serie di misure di contenimento fortemente limitative della libertà di circolazione all’interno del territorio nazionale. Va subito detto che si tratta di limitazioni che appaiono non solo necessarie, considerato il rapido e drammatico evolversi della situazione sul piano epidemiologico e sanitario, ma anche giustificate sul piano della legalità costituzionale, tenuto conto che, in forza dell’art. 16 della Costituzione, la sussistenza di ragioni di sanità costituisce un legittimo motivo per introdurre temporanee limitazioni al diritto dei cittadini di circolare in Italia.
Nell’attuale situazione di emergenza e alla luce delle misure di contenimento al diffondersi del virus sin qui adottate, qual è, dunque, lo spazio di libertà di cui possono godere le persone per spostarsi all’interno del territorio nazionale? E, soprattutto, quali le conseguenze sanzionatorie cui può andare incontro chi non ci si attiene ai divieti introdotti dal Governo?
1. I divieti e le condotte ammesse.
Quanto alla prima questione, la necessità di ridurre al minimo i possibili contatti tra le persone, condizione necessaria per impedire il diffondersi del virus, ha indotto l’Esecutivo ad introdurre una sorta di divieto generale per tutti i cittadini di spostarsi all’interno del territorio nazionale (cfr. art. 1 del decreto del Presidente del Consiglio 9 marzo 2020, c.d. decreto “Io resto a casa”, come integrato dal successivo D.P.M.C. 22 marzo 2020, disposizione attuativa dell’art. 1, comma 2, lett. a) e b), del decreto legge n. 6 del 23 febbraio 2020, ora integralmente sostituito dall’art. 1, commi 1 e 2, lett. a), del decreto legge n. 19 del 25 marzo 2020 – c.d. decreto “Lockdown”).
Si tratta di una prescrizione del tutto inedita: mai prima d’ora nella storia repubblicana era stata imposta una così radicale limitazione al diritto dei cittadini di muoversi all’interno del territorio nazionale.
A tale divieto sono tuttavia previste alcune doverose eccezioni:
a) i trasferimenti di persone all’interno del medesimo comune ove le stesse si trovano (che possono avvenire a piedi, in auto o con mezzi pubblici) sono consentiti qualora giustificati da comprovate esigenze di lavoro (ossia, per recarsi da casa al luogo di lavoro) o da situazioni di necessità (come, per esempio, fare la spesa, andare ad acquistare merci o servizi presso le attività non sospese, come le farmacie o le edicole o le attività di riparazione degli autoveicoli, gettare i rifiuti o portare fuori il proprio animale di affezione) ovvero da motivi di salute (visite, esami medici, ecc.);
b) gli spostamenti di persone da un Comune all’altro, invece, sono consentiti, oltre che – come quelli infra comunali - per comprovati motivi di lavoro o per motivi di salute, solo a fronte di esigenze di assoluta urgenza, come, ad esempio, fare la spesa qualora il punto vendita più vicino alla propria abitazione si trovi in un comune diverso. Da questo punto di vista, costituisce motivo di assoluta urgenza l’accesso alla seconda casa ubicata in un Comune diverso qualora motivato dalla necessità di porre rimedio a situazioni sopravvenute ed imprevedibili (quali, ad esempio, crolli improvvisi, rottura di impianti idraulici e simili, effrazioni, ecc.). Come chiarito dal Governo (decreto #IloRestoaCasa, domande frequenti, in www.governo.it), tra le ragioni d’urgenza rientra anche la necessità di recarsi in auto all’aeroporto, alla stazione ferroviaria o al porto per andare a recuperare una persona convivente o coabitante e condurla presso il domicilio del conducente.
A tal riguardo, è bene sottolineare che, alla luce delle delucidazioni fornite dal Governo (decreto #IloRestoaCasa, domande frequenti, in www.governo.it), gli spostamenti in auto rimangono possibili anche con più persone a bordo purché all’interno dell’abitacolo si rispetti la misura igienico-sanitaria della distanza minima di sicurezza di 1 metro tra una persona e l’altra (v. D.P.C.M. 8 marzo 2020, all. 1, lett. d)). Normalmente, quindi, non sarà possibile trasportare più di un passeggero oltre al conducente. Le moto, che non consentono di mantenere la distanza di sicurezza, non potranno trasportare passeggeri. Secondo il parere del Governo, tali limiti non operano nel caso di spostamenti di persone già conviventi all’interno di uno stesso nucleo famigliare, non sussistendo, per tali soggetti, la necessità di evitare il rischio di contagio.
Relativamente agli spostamenti per svolgere attività fisica o motoria, questi sono consentiti solo a condizione che avvengano individualmente e in prossimità della propria abitazione nonché nel rispetto della distanza di almeno un metro dalle altre persone (ordinanza del Ministero della Salute 20 marzo 2020).
Come ricordato anche dai mezzi di informazione, chi intende muoversi all’interno del territorio nazionale deve avere con sé un’autocertificazione in cui, sotto la propria responsabilità, dichiara i motivi del proprio spostamento nonché il fatto di non essere positivo al virus e di non essere in quarantena, motivi e circostanze che potranno poi essere oggetto di verifica da parte degli organi di polizia (Direttiva del Ministero dell’Interno n. 14606 dell’8 marzo 2020).
Al divieto di spostamenti privi di adeguata giustificazione, si affianca il divieto di mobilità, salvi gli spostamenti disposti dalle Autorità sanitarie, previsto per le persone che sono tenute alla misura della quarantena precauzionale (sorveglianza sanitaria e isolamento fiduciario) in quanto entrate in stretto contatto con casi confermati di Coronavirus o provenienti da aree ubicate al di fuori del territorio italiano (cfr. art. 1, comma 2 lett. d) D.L. 25 marzo 2020, n. 19 e ordinanza del Ministero della Salute 28 marzo 2020).
Sussiste, invece, un divieto assoluto di mobilità dalla propria abitazione o dimora per i soggetti sottoposti alla misura della quarantena perché risultati positivi al Covid-19 (v. art. 1, comma 2 lett. e) D.L. 25 marzo 2020, n. 19 e art. 1, lett. c), D.P.C.M. 8 marzo 2020).
Altra significativa limitazione alla libertà di movimento delle persone è il divieto, sull’intero territorio nazionale, di ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico (art. 1, comma 2, D.P.C.M. 9 marzo 2020). Per assembramento si intende qualsiasi raggruppamento o riunione occasionale di persone in luoghi pubblici (ed es. in strada, nelle piazze, nei parchi, ecc.) o aperti al pubblico (nei supermercati, nei negozi, ecc.). Tuttavia non è ben chiaro - e la norma non lo specifica - se la realizzazione dell’assembramento vietato richieda un numero minimo di persone.
Con D.P.C.M. del 10 aprile 2020, il Governo ha esteso l'efficacia di tutte le limitazioni testé elencate al 3 maggio 2020.
2. Le sanzioni.
Venendo alle sanzioni applicabili a seguito dell’inosservanza dei limiti testé segnalati, queste possono essere di tipo amministrativo o penale.
Per effetto del decreto legge 25 marzo 2020 n. 19 (c.d. decreto “Lockdown”), la risposta sanzionatoria principale prevista per gli spostamenti non motivati è di tipo amministrativo.
Pertanto, salvo che il fatto costituisca reato, chi si muove all’interno del territorio nazionale in assenza di uno dei motivi espressamente previsti (comprovati motivi di lavoro, situazioni di necessità, motivi di salute, esigenze di assoluta urgenza), si sposta in auto o in moto senza rispettare le distanze minime di sicurezza, svolge attività fisica in gruppo, lontano dalla propria abitazione e senza rispettare la distanza di 1 metro dalle altre persone, forma assembramenti di persone o, pur non essendo ancora risultato positivo al virus, viola la quarantena precauzionale allontanandosi dalla propria abitazione potrà incorrere nella sanzione amministrativa da 400 a 3.000 euro (art. 4, comma 1). Tale sanzione è aumentata fino ad un terzo se le condotte vietate vengono commesse attraverso l’utilizzo di un veicolo (art. 4, comma 1) mentre ne è previsto il raddoppio per l’ipotesi in cui uno stesso soggetto commetta più violazioni della medesima prescrizione (art. 4, comma 5).
È espressamente prevista l’estensione retroattiva di tali sanzioni che, quindi, troveranno applicazione anche nei confronti di coloro ai quali, prima del decreto 25 marzo 2020, è stata contestata la violazione dell’art. 650 cod. pen. In tali ipotesi, quindi, i trasgressori beneficeranno di una vera e propria abolitio criminis, vedendosi commutare la sanzione penale in una sanzione amministrativa che verrà loro irrogata nella misura minima ridotta della metà (€ 200) (art. 4, comma 8).
Il decreto 25 marzo 2020 ha poi esteso alle sanzioni di cui trattasi le regole sul pagamento in misura ridotta previste dal codice della strada (art. 4, comma 3). Di conseguenza:
a) chi pagherà entro 60 giorni dalla contestazione o notificazione della violazione potrà corrispondere una somma pari al minimo della sanzione (€ 400);
b) chi pagherà entro 5 giorni dalla contestazione o notificazione dell’infrazione potrà corrispondere un importo pari al minimo (€ 400) ridotto di un ulteriore 30 per cento (€ 280).
Le sanzioni, che vengono irrogate dal Prefetto, potranno essere oggetto di ricorso amministrativo davanti al Prefetto e di impugnazione al Giudice di Pace secondo le ordinarie modalità previste dalla legge n. 689/1981 per le sanzioni amministrative.
Altra conseguenza sanzionatoria, questa volta di tipo penale, è prevista per chi, allontanandosi dalla propria abitazione, esibisca agli agenti accertatori, che lo abbiano fermato per un controllo, un’autocertificazione contenente una falsa motivazione in merito alle ragioni del proprio spostamento. In detta ipotesi, infatti, il dichiarante potrà vedersi contestato il reato di falsità ideologica commessa da un privato in atto pubblico (art. 483 cod. pen.), fatto che prevede la pena della reclusione fino a 2 anni.
Se poi la falsa dichiarazione si accompagna ad uno spostamento privo di qualsiasi giustificazione, il trasgressore potrà essere sanzionato per entrambe le condotte, cumulando la sanzione penale per la falsa dichiarazione con quella amministrativa per l’ingiustificato allontanamento da casa.
Un capitolo a parte riguarda la violazione del divieto assoluto di mobilità per chi si trova sottoposto alla misura della quarantena perché risultato positivo al virus.
Per tale tipologia di condotta, particolarmente grave sotto il profilo del rischio di diffusione della patologia, il Governo, con il decreto “Lockdown”, ha ritenuto necessario mantenere la sanzione penale, prevedendo l’applicazione dell’art. 260 del Testo Unico delle leggi sanitarie (R.D. n. 1265/1934) che punisce chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo. Peraltro, la pena originaria prevista per tale reato viene ora inasprita, per cui l’inosservanza della quarantena potrà costare al trasgressore l’irrogazione della sanzione dell’arresto da 3 a 18 mesi e dell’ammenda da euro 500 a 5.000 (decreto legge 25 marzo 2020 n. 19, art. 4, comma 6).
L’applicazione dell’art. 260 rimane comunque residuale (“salvo che…”); ciò significa che tale illecito non troverà l’applicazione qualora la condotta incriminata costituisca violazione dell’art. 452 cod. pen. o comunque dia luogo ad altro più grave reato (art. 4, comma 6).
Il richiamo all’art. 452 del codice penale è chiaramente riferito al reato di epidemia (art. 438 cod. pen.). In effetti, chi, essendo positivo al virus, si allontana deliberatamente dalla propria abitazione potrebbe provocare un nuovo ed esteso focolaio di epidemia, favorendo il contagio di un numero indeterminato di persone e la conseguente ulteriore propagazione dell’infezione. Una siffatta condotta è punita assai severamente: se il reato è commesso con dolo trova applicazione la pena dell’ergastolo mentre se commesso con colpa, ossia negligenza o imprudenza o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (che è l’ipotesi assai più frequente), la sanzione è la reclusione da 1 a 5 anni, pena che può essere ulteriormente aumentata se dal fatto deriva la morte di una o più persone (art. 438, comma 2, cod. pen.)
Tuttavia, chi viola l’obbligo di quarantena potrebbe anche limitarsi a trasmettere il virus ad una o più persone determinate, senza provocare una vera e propria epidemia.
In detta ipotesi, qualora gli infettati dovessero malauguratamente morire a causa del virus, l’autore del contagio potrebbe essere ritenuto responsabile per il reato di omicidio, il quale prevede la pena della reclusione non inferiore a 21 anni per l’ipotesi dolosa (art. 575 cod. pen.) e della reclusione da 6 mesi a 5 anni per l’ipotesi colposa (art. 589 cod. pen.).
Ma non solo. Il responsabile della trasmissione della patologia potrebbe andare incontro ad una responsabilità penale anche nell’eventualità di guarigione dei contagiati: si pensi, ad esempio, al caso degli ammalati che, durante la degenza, si sono trovati in pericolo di vita, venendo sottoposti ad una lunga e debilitante terapia intensiva, o all’ipotesi di chi, a causa dell’infezione, abbia subito una grave compromissione del proprio stato di salute. Ebbene, a fronte del verificarsi di simili conseguenze, non è da escludere la contestazione del reato di lesioni personali aggravate (art. 583 cod. pen.) che, se commesso con dolo, è punito con la reclusione da 3 a 7 anni o da 6 a 12 anni, a seconda che l’evento lesivo sia grave o gravissimo, o, se commesso con colpa, con la reclusione da 3 mesi a 2 anni o con la multa da € 309 a € 1.239 nel caso di lesione gravissima (l’ipotesi di lesione colposa grave non può essere presa in considerazione in quanto caratterizzata da un trattamento sanzionatorio più mite rispetto a quello previsto dall’art. 206 del Testo Unico delle leggi sanitarie e, dunque, finisce per avere carattere recessivo rispetto a quest’ultima previsione).